Inserirsi nel mondo del lavoro non è affatto facile, ma neanche sopravvivere al suo interno: sempre più dipendenti stanno manifestando una patologia specifica.
La rincorsa a un posto di lavoro soddisfacente, ancor di più se in linea con le proprie passioni, è sempre più difficile. Spesso segue anni di studio, percorsi da stagista, a tempo determinato e con forti pressioni relative il carico da sopportare, il monte orario e, talvolta, anche gli spostamenti necessari.
C’è chi ribatterà dicendo che è sempre stato così, ma i dati dicono il contrario o meglio, si sta ponendo sempre più attenzione alla sindrome da burnout. Si definisce come malattia da stress correlato al lavoro, che si espleta attraverso l’esaurimento delle risorse psico-fisiche e attraverso la comparsa di sintomi psicologici negativi. Chi soffre di burnout in genere cambia totalmente il suo approccio alla quotidianità: spesso è nervoso, prima di tutto, apatico, demoralizzato e preso da una sorta di irrequietezza che trasferisce anche nel suo privato.
La situazione è seria, tanto che l’Oms l’ha inserito nelle classificazione internazionale delle malattie. I dati dicono che otto giovani su dieci sono pronti a lasciare il posto di lavoro a causa di una cultura aziendale tossica – sono tantissimi – e, in generale, il 20 per cento dei dipendenti a livello globale ha sperimentato i sintomi del burnout. Arginare il problema non è facile, ma c’è chi si sta già adoperando per trovare una soluzione.
Il burnout sul lavoro non va sottovalutato: chi ne soffre di più
Abbiamo detto che i giovani, soprattutto Millennial e Gen Z, sono la fascia d’età dove la patologia è più ampia, ma in quali posti del mondo il problema si verifica di più? A rispondere alla domanda ci ha pensato un sondaggio del McKinsey Health Institute, che ha esaminato 30mila dipendenti in trenta diversi Paesi.
Ne è emerso che le differenze sono ampie a seconda della popolazione. I dati sono allarmanti in India, per esempio, con il 59 per cento di dipendenti che ha provato i sintomi sulla sua pelle. L’Italia si piazza relativamente in basso nella classifica con il 16 per cento, e il Camerun ha i numeri migliori – solo il 9 per cento.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, sono i dipendenti di aziende più piccole a soffrire di più di burnout, non chi ricopre posizioni manageriali o di potere. A chiarirlo, in questo caso, ci ha pensato un altro sondaggio, pubblicato su people management. La causa è ancora una volta riferibile al clima che si respira in azienda, che dovrebbe essere sostituto da un ambiente positivo e chiaro, in cui i giovani possano esprimersi al meglio.
Il tutto ha un peso non indifferente sull’economia globale: le dimissioni sempre più frequenti da parte dei giovani sono uno dei problemi principali per la crescita d’impresa. La Cnbc è andata oltre: la soddisfazione sul posto del lavoro in forte calo potrebbe avere un impatto, in perdita ovviamente, calcolato a circa 8,8 trilioni di dollari in termini di produttività.