Opposizioni sulle barricate per l’evento di un centro studi vicino al deputato della Lega Simone Billi. “Non è mai giusto neanche in caso di stupro”. In Italia è garantita l’interruzione di gravidanza?
Quasi mezzo secolo dopo l’approvazione della legge 194 sull’interruzione di gravidanza, il diritto all’aborto in Italia continua a essere messo in discussione. Emblematico in questo senso il convegno ospitato martedì alla Camera del centro studi Machiavelli, think tank sovranista vicino al deputato della Lega Simone Billi, che ha messo a disposizione la sala stampa di Montecitorio.
A innescare la bufera le posizioni sostenute dai relatori sull’aborto, che “non è un diritto legalmente accettabile” e “non è mai giusto” anche nei “casi più tragici, nei dilemmi morali più strazianti, come quelli di stupro”. Parola di Marco Malaguti, ricercatore del Machiavelli, che insieme a Maria Alessandra Varone dell’università di Roma Tre ha curato il saggio “Biopoetica. Breve critica filosofica all’aborto e all’eutanasia” presentato durante il convegno. Una pubblicazione edita dallo stesso centro studi fondato nel 2017 a Firenze, città natale di Billi, che nel proprio sito web si definisce “un’associazione di promozione sociale il cui scopo è promuovere i valori tradizionali e le politiche a essi ispirate: patriottismo, tradizione e libertà”.
Secondo la ricercatrice, la legge 194 andrebbe “riscritta” per “restringerla e di molto” perché niente “autorizza” la donna a “uccidere” il bambino. “Di questo si tratta e bisogna aver il coraggio di usare le parole consone”, ha tagliato corto.
Il deputato leghista, che da anni è collaboratore del centro studi ma non era presente al convegno, si è affrettato a prendere le distanze ricordando che il Carroccio è da sempre per la “libertà di scelta”. Gli ha fatto eco la la responsabile Pari opportunità della Lega Laura Ravetto: “Utilizzare temi seri come l’aborto, i diritti, il sostegno alle donne, il contrasto alla violenza per becera propaganda di parte è davvero stucchevole”.
Ma le opposizioni restano sulle barricate. A cominciare dal Partito democratico. Secondo la capogruppo del Pd al Montecitorio Chiara Braga, “è inaccettabile che venga negato il diritto all’aborto in Parlamento e da un partito di governo”. Anche la collega di Alleanza Verdi Sinistra Luana Zanella non si capacita “che la Camera abbia potuto ospitare un evento dove si sono espresse posizioni così retrive”.
Anche il Centro Machiavelli è intervenuto per puntualizzare che la Lega è “estranea” all’organizzazione dell’evento e “non ha partecipato in nessuna fase e a nessun titolo“. Ma non ha convinto. “A poco servono le retromarce di chi ha organizzato e promosso questo retrogrado convegno”, ha replicato il Movimento 5 stelle. “Dopo anni di battaglie contro l’aborto clandestino che portava le donne a morire, oggi, nel segno del progresso, abbiamo un governo che nega la libertà di scelta delle donne, già compromessa dai troppi medici obiettori”, ha rincarato la tesoriera di +Europa, Carla Taibi.
Già, perché il discorso pubblico sull’aborto si riflette nelle politiche che di fatto ostacolano l’esercizio di un diritto garantito sulla carta. Basta guardare appunto i numeri sull’obiezione di coscienza. Secondo l’indagine dell’Associazione Coscioni, “Mai dati”, condotta da Chiara Lalli e Sonia Montegiove, degli oltre 180 tra ospedali e consultori che hanno fornito informazioni, sono 31 le strutture con il 100% di medici e infermieri obiettore. In altre 50 il personale che non pratica Ivg supera il 90% e sono più di 80 quelle con un tasso di obiezione oltre l’80%.
Uno scenario allarmante e al tempo stesso poco chiaro, complice l’opacità delle informazioni rese disponibili dal ministero della Salute nella relazione annuale al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 194. Si tratta infatti di dati chiusi e aggregati per regione che non danno conto del fenomeno.
“Avere un quadro chiaro dello stato di salute di questa legge purtroppo non è facile, proprio perché non abbiamo dati aggiornati e dettagliati”, non si stanca di denunciare fa Filomena Gallo, avvocata e segretaria dell’Associazione .”Una cosa è però molto chiara: la legge 194 è ancora mal applicata o addirittura ignorata in molte aree del nostro Paese”.
Per questo la Coscioni e altre associazioni – tra cui Amnesty International Italia, Arcigay, Laiga, Obiezione respinta e Se non ora quando? – hanno presentato alla Camera un appello al ministero guidato da Orazio Schillaci affinché l’Italia recepisca entro il 2023 le linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità in materia di aborto.
L’Abortion care guideline dell’Oms attinge alla letteratura scientifica più aggiornata e raccoglie oltre 50 raccomandazioni che abbracciano la pratica clinica, l’erogazione dei servizi sanitari e gli interventi legali e politici per sostenere un’assistenza sanitaria di qualità. L’agenzia delle Nazioni Unite lo aggiorna periodicamente con l’obiettivo di tutelare la salute di donne e ragazze e aiutare a prevenire gli aborti non sicuri e clandestini. Se eseguito secondo le indicazioni, l’aborto è un intervento sanitario semplice e sicuro.
Dall’indagine “Mai Dati”, basata su richieste di accesso civico generalizzato alle regioni, il Molise si conferma la regione con la più alta percentuale di obiettori: lo sono 8 ginecologi su 10 nell’unico ospedale che esegue Ivg.
Secondo la relazione del ministero della Salute invece nel 2020 a dichiararsi obiettore è stato il 64,6% dei ginecologi, il 44,6% degli anestesisti e il 36,2% del personale non medico. La situazione non appare omogenea in tutto il Paese, con picchi di oltre l’80% nella provincia autonoma di Bolzano, in Abruzzo, Molise e Sicilia. In Valle d’Aosta invece la percentuale scende al 25%, seguita dalla provincia autonoma di Trento (35,9%) e dall’Emilia-Romagna (45%).
La relazione indica in poco meno del 64% le strutture con reparto di ostetricia e ginecologia che eseguono aborti, anche in questo caso con differenze marcate fra regioni. In media nel Paese sono disponibili 2,9 punti per l’Ivg ogni 100mila donne in età fertile. Per aiutare le donne a orientarsi in un contesto a macchia di leopardo, l’associazione dei ginecologi non obiettori Laiga ha messo a punto una mappa degli ospedali italiani che offrono il servizio di interruzione volontaria di gravidanza.
Del resto se si guarda ai numeri dell’aborto farmacologico la situazione non migliora. Un metodo poco invasivo e sicuro che, rispetto a gran parte degli altri Paesi europei, in Italia resta ancora poco praticato, come denuncia il report sull’interruzione di gravidanza farmacologica in Italia curato da Medici del Mondo.
Mentre in Francia e Inghilterra le Ivg farmacologiche superano il 70% del totale, e in Nord Europa addirittura il 90%, con la possibilità di somministrazione fino alla nona settimana di gravidanza e in regime di day hospital, nel nostro Paese ancora oggi vengono eseguiti molti più aborti chirurgici con un ricorso alla Ru486 marginale, a dispetto dell’uso ormai consolidato nel Vecchio Continente e delle indicazioni di organismi internazionali come l’Oms.
Di fatto l’accesso alla pillola abortiva risulta ancora un percorso a ostacoli con notevoli differenze a livello territoriale, malgrado il ministero della Salute abbia aggiornato da ormai tre anni le linee di indirizzo sull’interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine, riconoscendo la possibilità di ricorrere all’aborto farmacologico in day hospital in tutte le Regioni e estendendo il limite per la somministrazione del farmaco da 7 a 9 settimane.
In Francia la pillola abortiva è stata introdotta nel 1988, mentre in Italia è arrivata soltanto nel 2009, ma anno dopo anno ha registrato una crescita, passando dallo 0,7% nel 2010 al 32% circa nel 2020.
Per accendere i riflettori sulle barriere che ancora oggi limitano l’accesso all’aborto farmacologico, l’organizzazione umanitaria ha lanciato la campagna “The Impossible Pill”.
“Nel caso dell’aborto con metodo farmacologico, le disuguaglianze regionali e le difficoltà nell’accesso al servizio diventano ancora più evidenti rispetto all’aborto con metodo chirurgico”, si legge del rapporto di Medici del Mondo. “Alcune delle scelte effettuate a livello locale, peraltro, sembrano dettate più da motivazioni politiche o ideologiche che da evidenze scientifiche”.
Eppure l’Organizzazione mondiale della Sanità ancora nel 2022 ha ribadito come il ricorso all’aborto farmacologico sia “sicuro ed efficace” e come le donne “con un sostegno adeguato” possano “autogestire alcune o tutte le fasi, per esempio nel comfort della propria casa”.
In base alla relazione del ministero della Salute, negli ultimi 40 anni il numero degli aborti in Italia risulta in continua diminuzione. Nel 2020 ne sono stati eseguiti 66.413, in calo del 9,3% rispetto al 2019 e addirittura del 71% rispetto al picco del 1983.
Una tendenza confermata anche dal tasso di abortività, ovvero il numero di Ivg ogni mille donne in età fertile, l’indicatore più accurato per una corretta valutazione. Nel 2020 è stato del 5,4 per 1.000, in calo del 6,7% rispetto al 2019, uno dei più bassi a livello internazionale.
Secondo l’Oms, l’interruzione di gravidanza non sicura rappresenta una delle principali cause di mortalità materna a livello internazionale, con 39mila decessi e milioni di ospedalizzazioni ogni anno. L’agenzia dell’Onu stima in oltre 25 milioni gli aborti non sicuri e clandestini eseguiti ogni anno nel mondo, pari al 45% del totale registrato ogni anno nel mondo. Il 97% avviene nei Paesi in via di sviluppo (60% in Africa e 30% in Asia) e tra le fasce della popolazione più povere e vulnerabili.
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