La mobilitazione indetta dalla Cgt, il principale sindacato argentino, ha portato migliaia di persone nelle principali città del Paese. Nel mirino il mega decreto del presidente che introduce misure draconiane di deregulation e privatizzazione per invertire la grave crisi in cui versa la terza economia dell’America Latina
I sindacati sono scesi di nuovo in strada in Argentina contro le politiche lacrime e sangue del “loco” Javier Milei, il presidente argentino di ultra destra che appena messo piede nelle Casa Rosada, il 10 dicembre scorso, ha iniziato a smantellare l’economia con ricette iperliberiste. Il primo sciopero generale indetto in cinque anni dalla Cgt, la Confederazione generale del lavoro, la più importante sigla del Paese, ha chiamato a raccolta migliaia di persone a Buenos Aires e in altre città argentine. Hanno ribadito il loro no al mega decreto che introduce misure draconiane di “deregulation” e privatizzazione per invertire, nelle intenzioni del governo, la crisi in cui versa la terza economia dell’America Latina, alle prese con l’inflazione oltre il 200% e il 40% della popolazione al di sotto della soglia di povertà.
Il presidente si è affrettato a sminuire la portata della mobilitazione promossa da “una minoranza che non riesce a metabolizzare il risultato elettorale”. I numeri sull’adesione, come succede in questi casi, sono molto variabili. La Cgt stima solo a Buenos Aires 600mila persone, oltre un milione in tutto il Paese. Il capo della polizia della capitale invece ha parlato di 80mila manifestanti. La metà secondo la ministra della Sicurezza Patricia Bullrich.
Deregulation selvaggia e privatizzazioni
Lo scorso 20 dicembre il presidente “anarco-capitalista” ha presentanto un vasto piano di deregolamentazione del mercato, con l’eliminazione di controlli e restrizioni su commercio, servizi e industria. II provvedimento modifica o abroga più di 300 norme. “L’obiettivo è ricostruire il Paese, restituire libertà e autonomia ai cittadini e cominciare a eliminare l’enorme quantità di norme che ostacolano la crescita economica”, ha detto il presidente in un discorso trasmesso in televisione.
Tra le misure c’è la cancellazione delle norme che impediscono la privatizzazione delle aziende pubbliche, dalla compagnia aerea Aerolineas Argentinas e al gruppo petrolifero Ypf. Vengono abrogate anche le leggi sugli affitti, “in modo che il mercato immobiliare possa ricominciare a funzionare”, ha spiegato il capo dello Stato.
Il giorno dopo l’annuncio delle misure, migliaia di persone si sono riversate nelle strade delle principali città dell’Argentina per protestare contro il mega-decreto del presidente di ultra destra, al grido di “la patria non si vende” e “Milei spazzatura, sei la dittatura”.
Primo stop al maxi decreto: bocciate le norme sul lavoro
Lo scorso 4 gennaio però arrivato il primo stop al mega decreto. I giudici hanno dato ragione ai sindacati e sospeso la riforma del lavoro contenuta nel provvedimento in vigore dallo scorso 29 dicembre. A presentare il ricorso è stata dalla stessa Cgt, secondo cui la riforma, “regressiva e antioperaia”, erode diritti fondamentali.
Il decreto prevede tra le altre cose una riduzione dei risarcimenti nei casi di licenziamento, limita il diritto allo sciopero, estende il periodo di prova dei neo assunti da tre a otto mesi e riduce i giorni di congedo di maternità prima della nascita di un figlio. Alcune delle misure appaiono “repressive e punitive”, si legge nella sentenza.
Dal punto di vista formale, i tre giudici chiamati a esprimersi sul ricorso hanno eccepito il requisito di “necessità e urgenza” del decreto. Il governo, è la tesi, è andato oltre i propri poteri modificando le norme sul lavoro per decreto, che invece devono essere esaminate e approvate dal Congresso.
È una prima vittoria per le migliaia di persone che da ormai due mesi invadono le strade contro le ricette turbocapitaliste del “Trump d’Argentina”. Il governo ha subito annunciato un ricorso.
Svalutazione e “dollarizzazione” dell’economia
Appena insediato, il governo Milei ha inaugurato il mandato con una prima serie di misure drastiche per ridurre la “catastrofe dell’iperinflazione” e disinnescare la “bomba del debito pubblico”, ha detto il ministro dell’Economia Luis Caputo. Prima fra tutte, la svalutazione della moneta di oltre il 50% (800 peso per un dollaro). Il traguardo finale del presidente è la “dollarizzare” dell’economia argentina. Il deprezzamento della valuta, almeno in una prima fase, colpirà le fasce più vulnerabili della popolazione, il cui potere d’acquisto verrà ulteriormente ridotto.
Tra le altre misure, il governo intende tagliare le agevolazioni statali nei settori dei trasporti e dell’energia. “Attualmente lo stato mantiene artificialmente i prezzi bassi grazie ai sussidi, che però causano una serie di effetti negativi”, ha detto Caputo. La misura avrà conseguenze dirette sulla vita di milioni di argentini, soprattutto nella capitale Buenos Aires, dove i trasporti pubblici sono molto economici. Lo Stato inoltre rinuncerà a nuove opere infrastrutturali e cancellerà i progetti non ancora avviati. “Dovrà occuparsene il settore privato”, ha spiegato Caputo.
Contratti pubblici, via 5mila statali
L’ultima novità targata Milei risale al 26 dicembre e riguarda gli statali. Nel 2024 il governo argentino – che ha già ridotto il numero dei ministeri da diciotto a nove – non rinnoverà circa 5mila contratti pubblici scaduti nel 2023, ha spiegato il portavoce del presidente Manuel Adorni.
Inoltre verrà riesaminato più di un milione di sussidi sociali per individuare “irregolarità”. L’esecutivo stima in 160mila i percettori che non hanno diritto ai contributi statali, per un valore complessivo di 10 miliardi di pesos argentini (12,45 milioni di dollari). L’obiettivo è “rendere il sistema trasparente e fare in modo che sostenga di che ha bisogno”, ha detto Adorni. Contro la misura anche l’Ate, il sindacato che rappresenta i dipendenti pubblici, ha minacciato lo sciopero generale della categoria.
“I soldi sono finiti”
“Per qualche mese staremo peggio di prima, ma queste misure sono inevitabili”, ha ammesso il ministro. “I soldi sono finiti”, gli argentini che hanno votato Milei lo hanno compreso, ha aggiunto. Una consapevolezza che sembra ben presente nel governo. Lo stesso presidente, nel discorso d’insediamento del 10 dicembre, ha avvertito che “nel breve periodo le cose peggioreranno”. Ma nel giro di “18-24 mesi” le misure di austerità permetteranno di riportare sotto controllo l’inflazione. Per limitare l’impatto delle politiche di austerità, il governo amplierà i sussidi statali e i programmi sociali, come i buoni spesa e gli assegni familiari.
Secondo Kristalina Georgieva, direttrice del Fondo monetario internazionale, le ricette messe in campo da Milei sono “un passo importante verso il ritorno della stabilità nel Paese”, che deve rimborsare un prestito da 44 miliardi di dollari concesso dal Fmi nel 2018.